Si chiamava Alan Lomax l’etnomusicologo americano, di antiche origini italiane, che del suo viaggio di ricerca in Italia compiuto nel 1954-55 disse: “l’anno più felice della mia vita”. Appena diciottenne, nel 1933, e quale assistente del padre, etnomusicologo affermato, si era misurato con i suoni e le voci dei neri nel delta del Mississipi, successivamente salvando dall’oblio i canti di coloro che non avevano ancora perduto la disperata memoria della provenienza africana, dentro una schiavitù abolita per legge ma non tradotta in una reale integrazione, soprattutto negli stati del sud. Già nel 1940 era un gigante dell’etnomusicologia.

Quando nel 1954 arriva in Italia Lomax ha quasi trentanove anni. L’Italia ricominciava a vivere e lui si innamora di quella gente affamata e stracciona che ricostruiva dalle fondamenta un paese distrutto dalla guerra, che allontanava da sé i fantasmi del fascismo confidando nelle ipotesi etiche della costituzione repubblicana. Lomax era anche un antropologo, un poeta, un fotografo magistrale. Volle possedere quel paese, ed esserne posseduto. Ci riuscì.

Il suo compagno di avventura fu Diego Carpitella, trentenne etnomusicologo calabrese che aveva già ricercato e registrato in Lucania e tra le minoranze albanesi nel 1952, con l’antropologo De Martino. Incominciano dalla Sicilia, intrufolandosi dappertutto ci siano voci, canto, strumenti di lavoro all’opera, piazze affollate attorno a qualche puparo che smercia storie di eroi e spade per poche lire. Dal furgone Volkswagen, il mitico “Bulli” sul quale viaggiano, scaricano il pesante Magnecord PT-6 e registrano dopo aver identificato gli spunti sonori che più sembrano nuovi e curiosi. Lomax è un disinvolto suonatore di chitarra e non esita ad usarla per coinvolgere qualche riottoso. “U’ Mericano”, come lo chiamano, è un ragazzone alto, robusto, pronto alla risata, attratto dalla vita effimera che sgorga improvvisa da corpi e gole talentuose, spesso incapaci di ripetere, nella stessa maniera o migliorandola, ciò che hanno detto o cantato. C’è qualcosa di selvaggio nella vita che Lomax insegue. Ne viene conquistato e travolto.

Viaggiando con Carpitella per i primi tre mesi, da solo in alcune regioni italiane, incontrando i contadini, i pescatori, i portuali, i cavatori, la gente di strada, che gli consegnano la propria espressività e i propri sentimenti, individuali e comunitari, i contenuti di una vita sotterranea che non è mai emersa al livello della discografia ufficiale, Lomax coglie l’asprezza musicale delle nostre radici, come ha fatto con il blues del basso Mississipi, e salva l’anima di un paese che sta per essere sommersa dalle trasformazioni economiche e sociali connesse alla ricostruzione post- bellica e nel successivo boom economico, passando da una specificità soprattutto agricola ad una soprattutto industriale.

Storia curiosa! Da un lato l’America vincitrice, che, con i suoi alleati, ci ha liberato dall’occupazione tedesca, e con i piani ERP e Marshall ci include nella sua area di influenza economica, politica e culturale; dall’altro un giovane americano, ma di origini italiane, che salva la vitalità e la memoria di ciò che sta per essere cancellato da una americanizzazione sorridente e conquistatrice. Che fine farà quella meravigliosa raccolta musicale? Pubblicata in America nel 1957, con la Columbia, dovette aspettare il 1973 per vedere la luce anche in Italia e con un piccolo editore proveniente dal mondo della canzone sentimentale, Gianni Meccia. Ritardo inquietante e inspiegabile, tanto più che il frutto di quella raccolta appassionata era diventato “repertorio” e matrice di un folk revival imponente negli immediati anni ‘60 e ’70…
Come raccontare, oggi, quel irripetibile “viaggio in Italia”? Come far rivivere quel nostro paese, ormai sconosciuto alla stragrande maggioranza della nostra popolazione? Come riappropriarsi della vitalità perduta di quella nostra gente, arricchendosi di quelle identità soffocate se non addirittura negate?

Il film RADICI risponde a queste domande e riafferma la vitalità odierna della musica popolare italiana!

Con: Ambrogio Sparagna, Tenores di Neoneli, Orlando Mascia, Antonio Gramsci jr., La Squadra di Genova, Mauro Manicardi, Caterina Pontrandolfo e il meraviglioso repertorio etnico del Istituto LUCE.
Colore. Dvd. Durata 75’
Un film di Luigi Monardo Faccini, da un’idea di Marina Piperno, prodotto e distribuito da LUCE-Cinecitta’

 

 

Caro Luigi,

Scusa il ritardo, ho guardato il film solo ieri notte.  E’ bello e in molti suoi aspetti mi è piaciuto. Potrebbe avere un impatto positivo in Italia, se circola, ed ispirare altri approcci. Questo é un film che vuole essere guardato più d’una volta, sia per la sua bellezza, sia per la complessità del discorso che va al cuore delle molteplici identità dell’ Italia e degli Italiani. Voi, Luigi e Marina, lo avete trattato con grande delicatezza e passione.  Come figlia di Alan Lomax, a mia volta antropologa ed etnomusicologa, dal 1996 sono la curatrice e responsabile della sua eredità archivistica ed intellettuale. Grazie al mio caro padre, così appassionato del vostro paese, anche la mia vita è diventata un accumulazione di radici in Italia, sia per vicende della fanciullezza vissuta lì, sia per i profondi legami che mantengo con i protagonisti del “folk” in Italia e per le amicizie con bravissimi studiosi, ricercatori, artisti, “documentarians”, registi, che si sono dedicati alle tradizioni di cultura orale ed espressiva in Italia.

Per questo sono ricca e fortunata. Ma voi italiani lo siete davvero molto di più. Il vostro paese e la vostra storia, fin dai tempi più lontani, si sono incrociati, divisi, ridisegnati, imbelliti, resi gioiosi e vivaci, nell’incontro, anche violento, con popoli e culture diverse. Per questo, forse, gli italiani sono cosi sofisticati, svelti, adattabili, pronti non solo al necessario, sopratutto a rendere concrete le fantasie. Dicevano in America che la concorrenza, quella sana, con riferimento al capitalismo sfrenato, era uno sport brutale. Verissimo. In Italia la più importante via della concorrenza, oltre che nel artigianato, é stata la poesia! Pensate alla lirica, allo spirito, alla velocità con la quale il poeta che recita coglie un nuovo motivo, una nuova rima. Questa è una tradizione del Circum Mediterraneo che risale all’Antichità se non addirittura all’età del Bronzo e, secondo vari fonti reperibili, ha origini pastorali. Tradizione importantissima nella politica, nelle relazioni sociali e spirituali, nei rapporti famigliari, nell’amore…
E torno a RADICI: voi, Luigi e Marina, con Ambrogio Sparagna, avete animato un kaleidoscope e, nel farlo, avete illuminato le sorgenti della creatività popolare del vostro paese. Ambrogio Sparagna si dimostra un animatore intelligente e creativo. Tu, Luigi, mi hai ricordato Alan stesso. Sei uno scrittore sottile ed appassionato nel rievocare il tessuto della storia culturale e sociale dell’Italia, scegliendo qui un paio di fili, qua un altro, aprendo finestre troppo a lungo chiuse. Roberto Cicutto, Presidente del LUCECinecittà, é persona di spirito che, senza esitazione, ha saputo immaginare quanto bene questo lavoro può e potrà fare…

Anna Lomax Wood

 

Caro Luigi,
un pubblico attento e concentratissimo al Mantova Film Festival nel bellissimo Auditorium del Conservatorio… direi che tutti si respirava appena… il vostro film è di fatto una lectio magistralis sulla Storia, prima ancora che della musica, dei popoli… toccante, profonda, vera… uno schiaffo di bellezza così ben assestato in tempi come questi attraversati dal putridume di una classe dirigente nel cui sguardo (prima ancora che nel pensiero) appare il VUOTO, in tutta la sua drammaticità. Aggiungo che in più di un passaggio del film mi è venuto da piangere per quanto ritmo, volti, storia emergevano, come in un affresco, come davanti ad un capolavoro in cui l’elemento Umanità è l’invisibile, così acuto che scuote, abbraccia, scalda, unisce… fa rimanere vivi nella sua accezione più alta, urgente, sacra…

Avete regalato un occasione specialissima di sapere, una opportunità di tenerci aggrappati alla Civiltà in una fase storica di barbarie, in un film che è esso stesso una struttura “musicale”, con quei volti, luci,  paesaggi, mani, braccia che entrano con fare deciso, talmente chiaro e puntuale da trascinare lo spettatore stesso tra quelle mani, braccia e paesaggi quasi a dire : ” ehi, ci sono anch’io con voi!”

Belle e importanti le contestualizzazioni storiche (il fascismo, la figura di Gramsci, l’Italia poverissima del dopoguerra, l’industrializzazione del boom economico)… la poetica spiazzante del bianco/nero delle immagini LUCE, la vostra ripresa a colori con l’occhio di chi non osa modificare ciò che avviene per riportarlo a noi in tutta la sua potenza. Mi avete commossa e, come sempre succede quando impariamo in modo alto cultura di grande spessore, inevitabilmente cresciamo. Io sono migliore oggi di ieri sera, mi sono portata via energia, bellezza, sentimenti che mi irrobustiscono… e noi sappiamo bene quanto bisogno ve ne sia oggi davanti allo scempio…

Forse sono stata l’ultima a lasciare la sala, perché ho (tra le mie forme di pudore) quella di non saper mostrare facilmente gli occhi lucidi agli estranei… ho atteso un attimo… in sala ormai vuota eravamo in cinque: Alan, Diego, Luigi, Marina… e io, a guardare/pensare tutti voi. Porca miseria mi son detta, quattro maestri in una volta sola… ma che regali giganteschi mi fa la vita? Raggiunti tutti gli altri in uscita, mi accorgo che quasi nessuno dei presenti aveva voglia di andar via… ho visto sguardi belli, puliti… allora c’è speranza, mi dicevo, film così ce la rendono inconfutabile. Vita/musica/ritmo/storia dei popoli – un viaggio grande come l’Italia. Una amicizia, Lomax vs Carpitella, che ci ha regalato un patrimonio culturale prezioso e imprescindibile. Grazie di cuore a te Luigi e a te Marina per averlo portato a conoscenza del pubblico col vostro brillantissimo film…

Iris Pezzali

 

Le nostre “Radici” in un canto (popolare). Faccini on the road sulle tracce di Lomax e Carpitella
di Enzo Lavagnini
In anteprima all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 19 giugno (ore 20.30) “Radici”, il nuovo documentario di Luigi Faccini, da un’idea di Marina Piperno, dedicato allo storico viaggio in Italia dei grandi etnomusicologi Alan Lomax e Diego Carpitella, che produsse oltre mille registrazioni “sul campo”, svelando per la prima volta l’enorme patrimonio di canzoni, stili e repertori musicali del nostro paese contadino e preindustriale. Il film, prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, esce in home video e comincia il suo tour per festival (il 28 giugno al Sardinia) per arrivare in autunno in sala …

Due personaggi, due colleghi, due studiosi “particolari”, ed una “indispensabile” ricerca da compiere. Un inedito Viaggio in Italia . Il racconto è condotto con mano gentile ed ordinata da Luigi Faccini il quale ricerca il ritmo interno delle cose lungo un sentiero proprio, presidiato da tempo. Bella, allegra, solare dunque la storia di un viaggio “irrimandabile” e del solido rapporto che farà nascere tra Lomax e Carpitella. Il viaggio di due “sodali” per vocazione, predestinati ad essere anime gemelle. In due, ficcati dentro un pulmino molto ben attrezzato per un’indagine scientifica davvero fondamentale: la ricerca di suoni e canzoni popolari che vanno raccolti in fretta, prima che svaniscano in polvere. Un lavoro che sa di archeologia, di ricomposizione di mosaici, per la cura che richiede. Un lavoro che necessita di enorme passione ed anche di affidarsi fiduciosamente all’altro. Le loro orecchie, il loro registratore, in questo viaggio in Italia compiuto nel 1954 e 1955, sentono suoni arcaici ed evanescenti. Sono parte della cultura orale, tramandati di bocca in bocca. Taluni ascoltati davvero per la prima volta in modo compiuto proprio da Lomax e Carpitella. Per cominciare però, i suoni vanno dapprima fatti tornare alla memoria, dal Sud al Nord del paese, poi bisogna “fissarli” subito, registrarli, acquisirli. E farlo prima che svaniscano, come stanno già svanendo i lavori, i luoghi, le tradizioni e gli amori che li hanno ispirati. Bisogna preservarli, cioè. Preservarli in fretta da quel mondo che avanza e sbriciola ogni cosa e che si chiama sbrigativamente, ipocritamente, “progresso”. L’industria pesante del paese (quella italiana, come quella di tutti i paesi) si nutre di ogni cosa: tutto quello che non si riesce a salvare, materiale o immateriale che sia, finisce presto per bruciare negli altiforni, o immancabilmente nelle catene di montaggio e così poi divelto, smontato, dimenticato. Come mai esistito. Alan Lomax, di antiche origini italiane, massimo etnomusicologo, antropologo e produttore discografico statunitense che con le sue registrazioni ha salvato e dato al mondo la possibilità di conoscere il blues dei figli degli schiavi afroamericani, al tempo del suo celebre viaggio in Italia aveva già registrato i patrimoni musicali del folklore di tanti paesi. Diego Carpitella, antropologo, etnomusicologo e regista italiano. Ricercatore instancabile di canti e di suoni, allievo e collaboratore di Ernesto de Martino, tutto sommato stava ancora cercando la propria strada nel mondo. Un professionista il primo. Un giovane di belle speranze il secondo. Fu quella del 1954 e 1955 una ricerca “storica”, quella dei due, che produsse oltre mille registrazioni “sul campo”, svelando per la prima volta all’Italia distratta ed al mondo onnivoro l’enorme quantità di canzoni, stili e repertori musicali del nostro paese contadino e preindustriale. “Cicerone” di questo viaggio raccontato da Luigi Faccini è Ambrogio Sparagna, allievo indiretto e continuatore dell’arte antica del tramandare canti e storia, alla stregua di Lomax e Carpitella. Come loro studioso, oltreché musicista. Il film di Luigi Faccini, poetico ed ispirato, familiare, è davvero molto ben sorretto da fonti documentarie, da repertori inediti o poco visti: oltre all’inesauribile miniera dell’Istituto Luce, lo alimentano i documenti messi a disposizione dall’Accademia di Santa Cecilia, e un prezioso video del 1991, questo assolutamente inedito, rintracciato negli archivi dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, nel quale Alan Lomax, a Roma, celebrò Diego Carpitella, deceduto l’anno prima, e la loro amicizia mai interrotta. Col film gli occhi e le orecchie prendono una felice pausa dall’ingordigia, spesso solo bulimica, cui li sottoponiamo: la tarantella di Monte Marano, la voce immensa, il lamento arcaico di Caterina Pontrandolfo, i Tenores di Neoneli con Tonino Cau, le “squadre” genovesi del trallalero, il canto polifonico che Alan Lomax considerava tra i più belli del mediterraneo. Ed ancora la “pizzica”, le testimonianze filmate dei tarantolati, il racconto del Sud magico e pagano, come nel citato Nascita e morte del meridione del carissimo, recentemente scomparso, Luigi Di Gianni. E ancora la Sardegna e le launeddas di Orlando Mascia e il “Su ballu tundu”. Il canto della lizza dei cavatori di marmo di Carrara. I canti d’amore e di lavoro di Venezia e della Lombardia. Immediatamente tutto ci è proprio e caro. Tutto diviene, anche le cose che ignoravamo, “di casa”: è da lì che veniamo ed è da lì che bisognerebbe ricordarsi di venire, non per passatismo, non per tradizionalismo, ma perché lì, e non altrove, sono le nostre radici (come recita il titolo). Quelle facce umili e timide di italiani di tanti anni fa che emergono felici e sorprese, nei repertori (stupite di essere al centro dell’attenzione), sono le nostre facce.

Enzo Lavagnini

 

Che voglia di mettersi in viaggio

Bel regalo la Special edition Radici (libro+Dvd) che l’Istituto Luce Cinecittà ha dedicato al lavoro di Lomax e Carpitella, Piperno e Faccini, ma soprattutto alla forza dei sogni che diventano concreti, al valore delle tradizioni che ci sopravvivono, alla lucida follia di chi identifica il proprio lavoro con una passione capace di dare un senso alla propria vita. Alan Lomax, etnomusicologo e antropologo americano di lontane origini italiane, e Diego Carpitella, entomusicologo italiano, nel giugno del 1954 iniziano il loro straordinario viaggio in Italia alla ricerca delle sorgenti della musica popolare. Un itinerario che inizia a Sciacca, in Sicilia, poi a zig zag verso nord, passando per la sarabanda feroce della tonnara, la lizza dei cavatori delle Apuane, il canto dei battitori di pali a Venezia, la tarantella di Montemarano. Una campagna di ricerca e registrazione “sul campo” che non ebbe precedenti, per il rigore scientifico, la vastità e la qualità dei risultati: migliaia di pezzi che costituiscono la fondamentale testimonianza di una cultura musicale di popoli e territori costretti ai margini della storia e che a causa dell’emigrazione e spopolamento delle campagne rischiava di sparire per sempre dalla memoria collettiva. Quelli in cui agivano Lomax e Carpitella erano gli anni miracolosamente spavaldi della ricostruzione, in cui l’Italia provava a rialzarsi dalle macerie della guerra. Ma il loro viaggio non costituiva un fatto isolato perché era stato preceduto da quello in cui lo stesso Carpitella, nel 1952, aveva affiancato Ernesto De Martino nella mitica spedizione in Lucania e nella Calabria delle minoranze albanesi, nel cuore della “terra del rimorso”, a studiare le ninne nanne e i pianti funebri. Lomax e Carpitella avevano però altre intenzioni. Non erano solo etnomusicologi e antropologi, erano esploratori e narratori, scienziati e visionari. Volevano incontrare e raccogliere giacimenti di sapere e cultura prima che fosse troppo tardi, non per conservare passivamente quei materiali bensì per svilupparli e farli vivere, quindi non limitarsi a schedare gli eventi e i rituali ma risalire alle ragioni profonde da cui essi nascevano. L’obiettivo, come scrive Carpitella, era di far interagire quei suoni e quei canti antichi con la “realtà che la gente vive”, dunque facendoli diventare contemporanei. A quel progetto, che rimane giustamente nella storia della ricerca musicale italiana, aderisce, a più di sessant’anni di distanza, il film Radici diretto da Luigi Monardo Faccini e ideato da Marina Piperno, un’opera che illustra e prolunga l’antico viaggio compiuto da Lomax-Carpitella, toccando molti degli stessi luoghi e raggiungendone altri, usando lo stesso sguardo e le stesse intenzioni dei due pionieri. Come capita spesso nella pratica creativa di Luigi Faccini e Marina Piperno il film nasce apparentemente dal caso ma poi corrisponde a miracolose sintonie. A scuotere Marina è un “suono dolcissimo e selvaggio” ascoltato durante un assolo di launeddas del sardo Orlando Mascia in una Chiarastella di Ambrogio Sparagna. Da lì la voglia di andare in Sardegna (una regione mai raggiunta da Lomax e solo più tardi da Carpitella) sulle tracce di quel suono mitico, per poi trovare l’eco di una miriade di suoni di provenienza mediorientale, misteriose contaminazioni tra popoli di mare e di terra. Per Luigi realizzare Radici è l’occasione per riannodare i fili di un vecchio colpo di fulmine avuto per Lomax e per i blues del delta del Mississippi da lui registrati e ascoltati su vinile a Parigi in un negozietto di dischi della rive gauche. Radici è un film pieno di incontri, personaggi, luoghi, storie, voci e danze: Tonino Cau e i Tenores di Neoneli, la Squadra genovese del Trallalero, Ambrogio Sparagna, il canto della lucana Caterina Pontrandolfo e le centinaia di persone nella piazza di Oristano legate nell’arcaico e rituale su ballu tundu. Musiche ed espressioni artistiche che arrivano dalla notte dei tempi ma che, come i luoghi dell’infanzia e della memoria, crescono e si modificano col passare delle generazioni, acquistano spessore proprio perché legate a temi e conflitti ancestrali (il dolore, la fatica, l’emarginazione) e quindi riferite a sentimenti sempre attuali. I tanti artisti protagonisti di Radici rimettono al centro della scena, con la cura filologica necessaria e insieme con un estro creativo nuovo, quei suoni e quei canti, recuperando in questo operare anche il culto dell’intempestività di cui diceva Gilles Deleuze, quando lo definiva fattore decisivo dell’arte. In questa assonanza il lavoro di Faccini e Piperno si salda perfettamente con il viaggio in Italia di Lomax-Carpitella e con il “lessico vivente” che è il cuore e l’anima del loro lavoro.

Un consiglio di visione: Radici è pieno di momenti forti e di sorprese ma la vera scena madre sta nel finale, addirittura nei titoli di coda, quando i suonatori impressi sulla pellicola in bianco e nero, ai tempi del muto, recuperata negli straordinari archivi del Luce, si intrecciano nel montaggio agli artisti contemporanei che danzano e cantano all’Auditorium di Roma. Niente finisce e tutto continua, basta salvaguardare la curiosità per le cose del mondo e la voglia di mettersi in viaggio, come hanno fatto Lomax e Carpitella, Piperno e Faccini, e i tanti viaggiatori che li hanno preceduti e che seguiranno.

Piero Spilla

 

Con le cucine delle nonne buttammo via anche i nostri suoni, già sacrificati sull’altare di una lingua imposta dal fascismo. Quei suoni mescolavano la musica che corre internamente ad ogni “dialetto” con quella che sgorgava dalle gole delle lavoratrici e dei lavoratori, nei campi come negli altri luoghi di lavoro, nelle case, ai funerali, alle feste. Restammo muti, in prestito ad una cultura che sembrava garantire una comunità più larga dei nostri campanili e, nemmeno tanto in fondo, più potere. Avevamo perso la guerra, ne avevamo viste e sentite tante, non belle. Si doveva svecchiare, andare più veloci, e c’era un mare di suoni che stava attraversando l’oceano Atlantico assieme agli Alleati, e piaceva, aveva il ritmo giusto, pareva che quanti lo avessero adottato si sarebbero sentiti nuovi, innocenti, mai sconfitti. Una omologazione global in anticipo ma tremendamente convincente, sexy, desiderabile. Così smettemmo di ripetere a memoria le canzoni dei nonni, quelle che a loro volta i nonni avevano appreso dai loro parenti. Interrompemmo il filo. Eravamo nella necessità di produrre questa frattura, nessuna colpa. Ma siccome è bellissimo sapere di noi, di quale materia siamo fatti, cosa ci piace e cosa no, che storia abbiamo alle spalle e soprattutto quante storie ci lasciamo indietro, così come siamo, compressi in un DNA che si costruisce incessantemente sommando esistenze a esistenza. E fa bene, questo piacere, fa star bene. Forse per questo – non credo ma è divertente immaginarlo –: in queste frazioni della storia in cui i rami della continuità si spezzano, si sviluppano nuovi anticorpi che lottano contro la dimenticanza, la restrizione dei campi di coscienza attiva. Sono cucitori di lacerazioni, ponti di barche tra passato e presente che ti riconnettono ai nonni e ai loro linguaggi, roba tua, importante, utile al tuo equilibrio mentale. Con Ernesto De Martino e Diego Carpitella, Alan Lomax è pilastro di questa medicina anti-Alzheimer di massa che conta per fortuna un buon numero di sostenitori e di bravi emuli. È il 1954: un registratore, tante bobine, carta, microfono e via nelle case più sperdute del Salento, della Sicilia, del Friuli, della Calabria, della Lucania, della Liguria e della Toscana. Parlando con gente dai capelli bianchi, fotografando, registrando motivi, voci, contesti, cercando i capi di quei fili spezzati. Grande vicenda, da raccontare, e qualcuno in passato ci ha provato, meritava un film non facile e lo ha avuto: ecco, “Radici – Viaggio alle sorgenti della musica popolare italiana” scritto e diretto da Luigi Faccini e Marina Piperno, entrambi ben dentro la storia del cinema italiano. L’idea è venuta a Marina, poi hanno lavorato assieme. Avevano tra le mani la vicenda professionale e umana di due giganti della scienza etnomusicale, Lomax – se molto blues non è “morto” lo si deve proprio a lui – e Carpitella, discepolo di De Martino. Entrambi, assieme a bordo di un pulmino, a spasso per l’Italia, da Nord a Sud. Soprattutto, una enorme avventura, perché lo scopo è la ricerca che tiene spazio e tempo, e il risultato non è scontato, e la gioia è la scoperta di una ninna nanna che nessuno aveva mai ascoltato, come si dice, a memoria d’uomo. Il film poteva essere bello e noioso, così come quando si cede al potere del didascalismo, e invece no. Forse grazie a questo nobile “trucco”: Faccini crea due percorsi paralleli, uno – in bianco e nero – insegue i filmati d’epoca in gran parte dell’Archivio Luce mostrando tappe e percorsi di Lomax e Carpitella, un secondo – a colori – in cui si illumina quanto oggi di quelle radici poetiche sia in uso, magari adattandolo. Dai Tenores a Ambrogio Sparagna. Ma di più. Perché lo stile sempre disincantato, nervoso, vitale di Faccini è riuscito a restituirci di quella ormai lontana avventura un senso quasi magico, pur operando con materiale d’archivio: immagini e sceneggiatura collaborano a mostrare la lievità felice di quel lavoro di ricerca. Il film mostra, cioè, che il lavoro, quando è motivato da bruciante passione, è bellissimo, attraente, vivo, divertente anche mentre inghiotte grandi quantità di energie. Ed è un lavoro di ricerca tutt’altro che semplice, richiede enorme sapienza e memoria sotto il titolo sofisticatissimo di “etnomusicologia”. Eppure, segui quei due grandi salire e scendere dal pulmino in bianco e nero e vedi soprattutto due “ragazzi”, Marina e Luigi, felici di fare quel che stanno facendo in un campo che oggi meno di ieri garantisce successo, denaro, fama. Li muove un sapere che non conta sul mercato e non è figlio del mercato: il piacere, di conseguenza, è garantito, e si vede. Dovrebbero far vedere questo film ai ragazzi delle scuole. Contiene almeno un paio di morbidissime lezioni che possono rendere meno dura l’esistenza.

Toni Jop

 

Alan Lomax e Diego Carpitella nel viaggio di Luigi Monardo Faccini

Fare un viaggio alle radici della musica popolare, rendere omaggio a due figure importantissime nella scoperta, nello studio, nell’approfondimento e nella divulgazione della musica popolare come Alan Lomax e Diego Carpitella. Era questo lo scopo di Luigi Faccini nel realizzare “Radici”, un film e un libro che ogni buon appassionato di musica popolare e tradizionale dovrebbe vedere e leggere. Faccini è un bravissimo scrittore, giornalista, regista che, partendo da un’idea di Marina Piperno, ha voluto ripercorrere alcune delle tappe del viaggio che fecero in italia Alan Lomax e Diego Carpitella nel 1954-1955, viaggio fatto per registrare, conservare, salvaguardare una memoria delle tradizioni popolari che stava scomparendo negli anni del dopoguerra e della trasformazione radicale del nostro Paese. Il documento di Faccini è bello, vivo, intenso, sentimentale e importante, lo si può vedere in questo iniziale tour, il 7 a Firenze, La Compagnia, l’8 a Pisa, l’Arsenale, il 9 a Roma, Nuovo Aquila, il 17 a La Spezia, Il Nuovo, il 18 a Carrara, Garibaldi, il 12 novembre a Genova, Don Bosco.

Questo il testo della presentazione: E’ iniziato il primo ottobre un tour in sala, con una serie di proiezioni evento, per Radici – Viaggio alle sorgenti della musica popolare italiana, omaggio di Luigi Monardo Faccini, da un’idea di Marina Piperno, a due giganti dell’etnomusicologia. Il primo, Alan Lomax, con le sue registrazioni sul campo ha salvato e dato al mondo la possibilità di conoscere il blues dei figli degli schiavi afroamericani, e scoprire nomi come Leadbelly, Son House, Jelly Roll Morton, Muddy Waters; il secondo Diego Carpitella, principe degli etnomusicologi italiani. Il documentario, prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà e uscito in dvd in un’edizione di pregio accompagnata da un’accurata pubblicazione ricca di documenti sul tema, è stato presentato in anteprima mondiale a Roma nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica dal regista Faccini accompagnato da Marina Piperno, ideatrice del film, che ha letto alcuni brani della lettera di saluto e apprezzamento inviata dalla figlia Anna Lomax, antropologa e etnomusicologa. “Devo questo film, costato due anni e passa di lavoro – ha detto Faccini – a due vinili dal titolo “Folklore musicale italiano”, registrazione originale di Alan Lomax e Diego Carpitella” (1973), contenenti brani incisi nel 1954/1955, inspiegabilmente pubblicati negli Usa dalla Columbia e solo 16 anni dopo in Italia grazie a un piccolo editore nonché popolare cantautore Gianni Meccia”.

Per l’etnomusicologo Walter Brunetto “la raccolta dei materiali fatta da Lomax e Carpitella, di cui una copia è conservata nell’Accademia di Santa Cecilia, costituisce la prima documentazione di musica di tradizione orale italiana. In precedenza non avevamo cognizione chiara di quello che Lomax e Carpitella hanno definito ‘un fiume sotterraneo di suoni’. Nascosto era il mondo delle campagne, la sonorità che accompagnava la vita della civiltà contadina. L’universo dei nostri nonni e bisnonni immigrati in città che viene consegnato come memoria grazie a questo prezioso film”. “Ho studiato con Carpitella e conosciuto anche Lomax – dichiara il musicista Ambrogio Sparagna – ed è grazie a loro se oggi in Italia ci sono tantissimi giovani che suonano e vivono l’esperienza che questi strumenti antichi, arcaici, tipici della tradizione agro-pastorale italiana, conservano. Il film ci dice quanto sia stato importante tramandare la memoria non solo di quella musica ma soprattutto delle persone che la suonavano e cantavano”.

Michele dall’Ongaro, presidente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia parla di “un bellissimo documentario che ci mostra come Lomax e Carpitella siano andati a scovare un mondo sommerso che si è rivelato ricchissimo di saperi, competenze, bellezza. Un mondo inesplorato che già avevano conosciuto Bela Bartok, Zoltán Kodály, i grandi precursori dell’etnomusicologia, ma che da noi non era meno ricco, forse più complesso, più nascosto e misterioso”. Soddisfatto Roberto Cicutto, presidente di Luce Cinecittà, “che questo film, nato da un atto d’amore del regista e di chi l’ha ispirato, Marina Piperno, inizi il suo viaggio così come è stato un viaggio quello che Lomax e Carpitella fecero tanti anni fa”.

Nel’estate del 1954 i due partono per un viaggio in Italia a caccia di canti popolari. Dalla Sicilia al Friuli, passando per la Calabria, la Lucania, il Salento, Friuli, Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, i due compagni armati di registratore, un pullmino Volkswagen e uno spirito da veri pionieri, danno vita alla raccolta fondamentale della musica popolare italiana, matrice della conoscenza del nostro folklore. Nastri da cui verranno dischi, da cui, chi vuole sapere qual è la nostra vera identità, non può prescindere. Una grande avventura che oggi Faccini, a 65 anni di distanza, analizza con grande passione munito del supporto prezioso delle immagini del grande Archivio dell’Istituto Luce, e di fidati compagni di viaggio tra cui un protagonista della musica popolare come Ambrogio Sparagna,  Walter Brunetto, curatore della raccolta Lomax- Carpitella,  i Tenores di Neoneli, la Squadra del trallallero genovese e altri magnifici artisti, parte sulle tracce di quel mitico viaggio, alla riscoperta delle radici della musica italiana. Scoprendo quanto sia viva la sua presenza, la sua resistenza e capacità di evolversi, e quanto – come Lomax aveva intuito – la musica della nostra terra sia la più varia del Mediterraneo, e sia magicamente connessa all’energia del blues, dei worksongs, i canti dei detenuti neri ai lavori forzati, a una corrente sotterranea che lega Mediterraneo, Africa, America e terre nordiche.

In tema di identità nazionale e di popoli, chi vuole capire da dove vengano gli italiani, la loro voce profonda, la nostra vera cultura, può trovare risposta, e soprattutto un invito al viaggio, nella straordinaria avventura on the road di Lomax e Carpitella, e nell’affettuoso appassionato inseguimento di questo film. “Ci sono due film che si intersecano – spiega Faccini in una nota – uno, a colori, sulla musica popolare italiana di oggi, quella che mantiene vive le proprie origini e funzioni identitarie; uno, in bianco e nero, sulla musica popolare del passato, che si avvale del repertorio Luce per ripercorrere alcune delle tappe del viaggio che fecero Lomax e Carpitella, per salvare e registrare tutto ciò che stava per scomparire nella vorticosa trasformazione sociale del nostro Paese sfociata nel boom economico degli anni ’60. Fondamentali, in questa ricostruzione, sono stati i documenti cartacei, fotografici e sonori messi a disposizione dall’Accademia di Santa Cecilia, e il video del 1991, inedito, rintracciato negli archivi dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, nel quale Alan Lomax, a Roma, celebrò la collaborazione con Diego Carpitella, deceduto l’anno prima, e la loro amicizia mai interrotta.”

Ernesto Assante